martedì 11 gennaio 2022

Il Big Bang non c’è mai stato… Teorie alternative nella scienza del XX e XXI secolo

Il Big Bang non c’è mai stato… Così afferma il prof. Eric Lerner, che ha pubblicato nei primi anni Novanta un fortunato saggio con questo titolo.

Secondo la maggior parte dei fisici e cosmologi, l’universo avrebbe avuto origine dal Big Bang, ossia da una grande esplosione a partire da un “atomo primitivo” piccolissimo e caldissimo.  La teoria è nota al grande pubblico e divulgata in modo quasi sacerdotale dagli scienziati. La scoperta del bosone di Higgs è stata salutata come una conferma della teoria del Big Bang… Il bosone di Higgs è stato definito come la particella di Dio.

Il Prof. Lerner ritiene, al contrario, che questa teoria sia assolutamente falsa. Secondo lui e gli studiosi di fisica del plasma, l’universo sarebbe tridimensionale, infinito nello spazio e nel tempo. Ritengono che non ci sia alcuna espansione dovuta alla radiazione di fondo. Nello specifico, sostengono anche che la materia oscura sia solo un’ipotesi ad hoc per salvare una teoria sostanzialmente sbagliata.

In particolare, questo professore ritiene che la scienza e gli scienziati siano profondamente influenzati dal contesto storico, sociale ed economico in cui vivono. Questa tesi vale sia per le scienze con scopo più pratico (es. la costruzione della bomba atomica) che per branche più teoriche come la cosmologia. Così, la creazione ex nihilo è la visione cosmologia dell’epoca di declino dell’impero romano. Il Big Bang è l’espressione un’epoca di paura come gli anni Cinquanta su cui incombeva l’incubo della guerra atomica. Invece, i modelli di universo infinito sarebbero espressione di società opulente ed in espansione (Illuminismo, anni Sessanta del XX secolo).

Hannes Alfven, uno dei più brillanti studiosi di fisica del plasma e vincitore del premio Nobel nel 1970, riteneva che il Big Bang sia solo un maldestro tentativo di reintrodurre la creazione dal nulla tipica del Cristianesimo nella scienza. Sosteneva che la scienza attraversa fasi in cui prevale il metodo matematico-deduttivo, a fasi in cui prevale l’attenzione verso l’esperienza concreta. In infuocati articoli, polemizzava con i suoi colleghi dicendo che con il Big Bang si era tornati ad una scienza fondata solo sulle teorie matematiche e non sull’esperienza, spesso teorie non verificabili con esperimenti di laboratorio. Alfven denunciava una sorta di “nuovo Medioevo” della fisica. L’approccio scientifico corretto sarebbe stato mantenuto solo dai fisici del plasma e dalla loro cosmologia che sarebbero fondate su basi sperimentali molto più forti.

La cosmologia del plasma – ad oggi – sembra essere l’unica teoria totalmente in opposizione a quella del Big Bang, perché dopo la scoperta della radiazione di fondo (1965), la teoria dello stato stazionario ha perso il consenso tra gli scienziati. Questa interessante teoria cosmologica è stata formulata Fred Hoyle e si fonda sull’idea che l’universo sia omogeneo nello spazio e nel tempo, che l’universo sia in perenne espansione e che questa espansione viene compensata da una continua emersione di materia. In questo modello, non esiste né inizio né fine… L’universo è infinito nello spazio e nel tempo. Hoyle sosteneva anche che la vita avesse avuto inizio nella polvere delle stelle. Nel suo universo, gli esseri viventi sono “figli delle stelle” e frutto di una costante ed infinita impollinazione cosmica (panspermia). Sino alla morte, questo astrofisico ha sostenuto la sua teoria ed è stato ricambiato dai colleghi anche con insulti. Con l’avanzare degli anni, molti arrivarono a definirlo “rimbambito” e a negare il valore delle sue ricerche. Lerner gli riconosce invece dei contributi fondamentali nello studio delle stelle e della formazione degli atomi. In chiave polemica, Lerner dice che i sostenitori del Big Bang non sanno fare nemmeno previsioni esatte. Gamow prevedeva che la radiazione di fondo avrebbe avuto una temperatura di 50 gradi. Al contrario, Hoyle riteneva che avesse un valore compreso tra i 3 e 5 gradi. Nel 1965, la radiazione di fondo rilevata era compresa proprio tra questi valori. Questo caso denota, secondo Lerner, la grande malafede e la durissima contrapposizione tra i vari gruppi di scienziati. Spesso tra gli scienziati si arriva quasi a vere e proprie forme di diffamazione e di ingiuria.

I fisici del plasma fanno anche notare come la Teoria del Big Bang sia accettata per lo più in Occidente, dove da secoli è imperante il Cristianesimo e la creazione dal nulla. Nei paesi comunisti, questa teoria sarebbe stata respinta per ragioni ideologiche: universo infinito ed eternità della materia.

Questa tesi, a nostro modesto avviso, ha un notevole valore. Usualmente i sostenitori del Big Bang sono più aperti verso la religione e il cristianesimo in particolare. Uno dei suoi sostenitori è stato Lemaitre, un sacerdote e fisico. Fred Hoyle (teoria dello stato stazionario), Hannes Alfven (fisica del plasma) e i cosmologi sovietici erano dichiaratamente atei. Tuttavia, alcuni studiosi hanno fatto notare ad Hoyle che il suo universo infinito ha qualcosa di panteistico. Non a caso, molti allievi di Hoyle provenivano dall’India (Narlikar, Wickramasinghe) e vari sostenitori provengono dall’Estremo Oriente dove il Cristianesimo ha avuto grande difficoltà a penetrare. I fisici del plasma spesso richiamo le scoperte di Subrahmanyan Chandraseckar. È possibile affermare, quindi, che ogni scienziato tende a trasferire nel proprio modello cosmologico alcuni dei concetti e idee nel contesto in cui vive. Spesso queste idee hanno ben poco di scientifico e sono per lo più convinzioni filosofiche e/o religiose.  

Per i fisici del plasma, la verità è una sola: il Big Bang è ritenuto vero solo perché una lobby di professori universitari l’ha imposto grazie all’appoggio politico e ai legami con i grandi editori. Sostengono con sdegno come i sostenitori del Big Bang siano imparentati tra loro e che abbiano l’appoggio della politica perché una gran parte ha partecipato al progetto della bomba atomica.

Un cosmologo vicino alle posizioni dei fisici del plasma, da me contattato, mi ha detto in modo molto diretto che i board delle riviste di cosmologia sono pieni di sostenitori del Big Bang e quasi tutti provengono dalle facoltà di matematica e fisica. Questi board rifiutano tutti quei papers che vanno contro le loro convinzioni. Mi faceva notare, anche, come quasi tutti gli studiosi di fisica del plasma provengano, invece, dalle facoltà di ingegneria. Per reagire alle prepotenze dei board delle riviste di cosmologia i fisici del plasma pubblicano dei numeri speciali su questioni cosmologiche in alcune riviste in cui i board sono pieni di membri vicini alle loro linee di ricerca.

Lo strapotere dei professori del Big Bang e l’occupazione di cattedre universitarie e dei board delle riviste ha determinato un aumento dei fondi di ricerca in loro favore e una diminuzione di quelli per altre linee di ricerca alternative e contrastanti. I cosmologi sostenitori di modelli cosmologici alternativi hanno pubblicato, addirittura, un manifesto per denunciare il loro isolamento nel mondo accademico globale (http://cosmology.info/media/open-letter-on-cosmology.html). Tra essi compare anche il Prof. Halton Arp, recentemente scomparso. Questo cosmologo americano ha sempre contestato la teoria del Big Bang con grande forza. Nonostante la sua carriera e il suo prestigio si è visto negare l’accesso al Telescopio di Monte Palomar. Arp è stato costretto a trasferirsi in Germania al Max Planck Institute dove ha continuato a lavorare gratuitamente.

Per alcuni studiosi, Halton Arp sarebbe addirittura un nuovo Galileo perseguitato dalla Santa Inquisizione costituita da lobby universitarie molto potenti e gelose delle proprie posizioni accademiche.

Sic transit gloriam mundi… Sic transit gloriam cosmologiae…

https://en.wikipedia.org/wiki/Non-standard_cosmology

https://en.wikipedia.org/wiki/Halton_Arp

http://cosmology.info/media/open-letter-on-cosmology.html

Figli delle stelle. La cosmologia di Fred Hoyle

Come due stelle noi

Silenziosamente insieme
Ci sentiamo

(…) Noi siamo figli delle stelle
Figli della notte che ci gira intorno
Noi siamo figli delle stelle
Non ci fermeremo mai per niente al mondo
Noi siamo figli delle stelle
Senza storia senza età, eroi di un sogno
Noi stanotte figli delle stelle
Ci incontriamo per poi perderci nel tempo

Figli delle stelle, Alan Sorrenti

Il XX secolo può essere definito come secolo della cosmologia per l’ampiezza e la profondità delle controversie e delle questioni che hanno appassionato gli studiosi di questa materia. Un ruolo molto importante ha avuto in questa scienza il britannico Fred Hoyle che, oltre ad essere un geniale fisico, è stato un autore di romanzi di fantascienza, un divulgatore e soprattutto un conduttore di programmi sulla scienza.

Fu durante la Seconda Guerra Mondiale, che Hoyle e i suoi colleghi Thomas Gold ed Hermann Bondi compirono per conto dell’esercito inglese alcuni viaggi negli Stati Uniti. In uno di questi incontrarono degli astronomi e cominciarono a studiare la nucleosintesi nelle stelle. Dopo la fine della guerra, proposero la teoria dello stato stazionario secondo la quale l’universo è omogeneo in tutte le sue parti, è infinito nello spazio e nel tempo. In accordo con la legge di Hubble, secondo cui l’universo è in espansione, questi scienziati sostengono che nell’universo ci sia una continua creazione di materia che fa mantenere costante la densità dell’universo. Questa teoria non va confusa con la teoria dell’universo statico elaborata da Einstein secondo la quale l’universo è statico, privo di espansione e contrazione.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, i cosmologi sono stati coinvolti in una infuocata polemica tra i sostenitori della teoria dello stato stazionario e quelli della teoria del Big Bang. Fu proprio Hoyle che usò la locuzione “Big Bang” in chiave polemica con i suoi colleghi. Com’è noto, secondo la teoria del Big Bang l’universo avrebbe avuto origine in punto o in un atomo primitivo densissimo e caldissimo da cui sarebbe esplosa la materia nell’universo. Hoyle rifiutava in modo categorico questa teoria, perché riteneva l’origine dell’universo dal Niente fosse priva di senso. Riteneva che questa teoria fosse facilmente strumentalizzabile per sostenere forme di creazionismo e l’idea di una causa prima. Il fisico britannico dichiarava apertamente di essere ateo. Maggiormente polemico su questioni religiose era Hermann Bondi che firmò anche un Manifesto umanista.

Lo scontro tra stato stazionario e Big Bang è durato per quasi un ventennio sino al 1965 quando fu annunciata la rilevazione della radiazione di fondo. Questa scoperta è stata considerata come la maggiore prova in favore della teoria del Big Bang. La comunità scientifica cominciò ad orientarsi in favore di questa teoria e ad abbandonare l’altra. Hoyle fu contestato e attaccato. Continuò a sostenere tenacemente la sua teoria e a rielaborarla (teoria dello stato quasi-stazionario). In questa nuova formulazione, la creazione di materia e l’espansione dell’universo avverrebbero solo in alcune zone dell’universo. Il cosmo alternerebbe fasi di espansione a fasi di contrazione. In tempi recenti, un modello simile è stato proposto da Wun-Yi Shu della National Tsing Hua University di Taiwan.

Nella sua lunga vita, Fred Hoyle ebbe un profondo interesse per la biologia e la comparsa della vita nell’universo. Rifiutò molti capisaldi della teoria dell’evoluzione di Darwin. Nel suo modello di universo, la vita ha origine nella polvere interstellare perché lì c’è una grandissima presenza di elementi compatibili con la vita. I batteri, i virus e tutti gli esseri più semplici avrebbero origine attorno alle stelle e fuori dal pianeta terra. L’universo sarebbe caratterizzato da una costante impollinazione cosmica a partire dalla polvere attorno alle stelle. Nel XIX secolo, l’idea dell’origine extraterrestre della vita e della sua diffusione in tutto l’universo era stata denominata panspermia da Svante Arrhenius.

Le idee e le teorie scientifiche di Hoyle hanno sempre destato un grande dibattito sia tra gli scienziati che tra i filosofi e i teologi. Nel corso degli anni, molti hanno fatto notare all’ateo Hoyle che il suo modello di universo aveva qualcosa di panteistico. L’universo descritto nello stato stazionario sarebbe quasi un Cosmo-Dio infinito più vicino alle visioni provenienti dall’Estremo Oriente. Il cosmologo ha respinto in qualche modo questa osservazione. Ma sicuramente va sottolineato che la teoria dello stato stazionario ha trovato maggiore accoglienza proprio in India (Narlikar, Wickramasinghe) e in Cina (Shu).

Senza essere fisici e senza conoscere le complesse formule matematiche maneggiate dai cosmologi, l’idea di un universo infinito nello spazio e nel tempo e l’idea che la vita nasca fuori dalla terra nella polvere delle stelle sono affascinanti… Siamo figli delle stelle…

venerdì 24 dicembre 2021

Kurt Gödel, il genio della logica

1. Il più grande logico di tutti i tempi. Il migliore amico di Einstein.

Kurt Gödel è stato il più importante logico matematico del XX secolo ed è anche considerato uno tra i più importanti logici di tutti i tempi. Tuttavia la sua opera è quasi del tutto sconosciuta al grande pubblico. Negli ultimi anni, la sua immagine e il suo nome hanno cominciato a circolare perché Gödel era amico di Albert Einstein e ci sono numerose fotografie che li ritraggono insieme.

I due erano profondamente diversi, praticamente agli antipodi. Albert Einstein era molto gioviale e riusciva a comunicare facilmente le proprie idee e il proprio ottimismo agli altri. Al contrario, Kurt Gödel era molto timido e riservato, estremamente riflessivo e attento nel misurare le parole e nell’impostare i ragionamenti. Einstein ha espresso pubblicamente le proprie convinzioni filosofiche e politiche. Al contrario, Gödel non rese pubbliche le proprie opinioni su argomenti religiosi, filosofici e politici.

La fama di Einstein è strettamente legata alla formula E=mc2, che è anche un modo per fissare e sintetizzare la sua figura e la teoria della relatività. Anche altri fisici del XX secolo sono diventati famosi perché hanno scoperto delle leggi che possono essere scritte con delle formule molto brevi.  come ad esempio, il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg o l’equazione di Paul Dirac.

Gödel, purtroppo, non ha avuto questa stessa fortuna. Ha elaborato teoremi fondamentali per la logica matematica, come i teoremi di incompletezza pubblicati nel 1931, ma essi non sono facilmente sintetizzabili in una formula o in una frase ad effetto.

Kurt Gödel era nato nel 1906 a Brno, nell’attuale Repubblica Ceca, che a quel tempo era parte dell’Impero austro-ungarico. La sua era una famiglia molto agiata. Il padre dirigeva una fabbrica tessile. Ciò gli permise di trasferirsi a Vienna per studiare all’università. In un primo tempo si dedicò alla fisica teorica e alla filosofia, ma ben presto, la sua mente fu attratta dalla regina delle scienze: la matematica ed in particolare la teoria degli insiemi e la logica matematica. Gödel conseguì prima una laurea in matematica e poi una seconda laurea in filosofia (1930).

2. La crisi dei fondamenti della matematica. I teoremi di Gödel.

Nei primi anni del XX secolo, la matematica era attraversata da una grande crisi. Nella teoria degli insiemi infiniti emergevano contraddizioni e paradossi. Georg Cantor, uno dei pionieri di questa materia era morto nella convinzione di essere lo “scriba di Dio” e di avere impostato in modo corretto la teoria degli insiemi. Purtroppo non era così. Il “paradiso di Cantor” creato appositamente per i matematici era diventato un “grande inferno”.

Per risolvere questi problemi, i matematici avevano proposto varie soluzioni (psicologismo, l’ideografia di Frege, il logicismo di Russell, il formalismo di Hilbert, l’intuizionismo di Brouwer).

Nel 1931, Kurt Gödel pubblicò un articolo in cui esponeva i teoremi di incompletezza. Con il primo teorema di incompletezza, dimostrava che, all’interno di un sistema logico-formale, ci possono essere delle proposizioni che generano delle contraddizioni. Queste proposizioni possono generare una vera e propria trappola: se si tenta di dimostrarle si ha una contraddizione, se si rinuncia a dimostrarle, il sistema sarà privo di contraddizioni, ma sarà mancante di una dimostrazione. Con il secondo teorema di incompletezza Gödel dimostrò che tale situazione può capitare con la formula di coerenza di un sistema logico-matematico, ossia una particolare formula che garantisce l’assenza di contraddizione di un dato sistema matematico. Negli anni successivi il logico matematico estese ancora di più i propri risultati. Dimostrò che proposizioni indecidibili possono essere dimostrate se si passa a sistemi logico-matematici più ampi. Dimostrò che le modifiche e le estensioni di un sistema matematico possano generare nuove proposizioni indecidibili.

In un primo tempo, i logici matematici non prestarono molta attenzione ai risultati di Gödel perché pensavano che queste situazioni riguardassero proposizioni secondarie e trascurabili della teoria degli insiemi. Con grande stupore dei matematici di tutto il mondo, il grande Maestro della Logica e successivamente Paul Cohen riuscirono a dimostrare che l’indecidibilità può riguardare teoremi importanti della teoria degli insiemi (ipotesi del continuo).

3. L’assassinio di Schlick.

Nel 1933, Hitler prese il potere in Germania e instaurò la dittatura in Germania. Questo determinò un peggioramento della situazione nella vicina Austria. Gödel se ne rese conto immediatamente quando rientrò in patria dopo un soggiorno di studio presso l’Institute for Advanced Studies di Princeton. Ad aggravare l’atmosfera si aggiunse l’uccisione di Moritz Schlick da parte di uno studente nazista.

Tale assassinio determinò una vera e propria crisi in Gödel che lo conosceva e lo frequentava da molto tempo. Schlick era, soprattutto, uno degli animatori del cd. Circolo di Vienna, un gruppo di matematici, fisici e scienziati che si riuniva per discutere di problemi scientifici. Quasi tutti i membri del circolo erano di origine ebraica. L’assassinio spinse tutti i membri a lasciare l’Austria per cercare riparo altrove. Alcuni come Rudolf Carnap decisero di trasferirsi negli Stati Uniti, Wittgenstein raggiunse l’Inghilterra, Karl Raimund Popper (1902-1994) ottenne un posto di docente in Nuova Zelanda. Gödel prese armi e bagagli e con la moglie intraprese un lunghissimo viaggio in treno attraverso la Russia. Raggiunto il Pacifico, passò in Giappone. Da lì si imbarcò per gli Stati Uniti e raggiunse Princeton. Il suo amico Albert Einstein lo aiutò per ottenere la cittadinanza americana.

4. Docente a Princeton.

Gödel ottenne una cattedra presso l’Institute for Advanced Study di Princeton grazie anche all’aiuto di Albert Einstein, John von Neumann (1903-1957) e vari altri matematici e scienziati emigrati dall’Europa negli Stati Uniti. Continuò ad insegnare e a pubblicare articoli di logica matematica in particolare sull’ipotesi del continuo.

La sua amicizia con Albert Einstein divenne sempre più stretta. I due compivano spesso lunghe passeggiate e conversazioni. Questi incontri hanno sicuramente avuto una notevole influenza su Gödel in quanto lo indussero a interessarsi della fisica e soprattutto della cosmologia. Gödel elaborò intorno al 1947 un modello cosmologico di un universo rotante in cui non esiste un concetto privilegiato di tempo universale.

Negli anni successivi, prima Albert Einstein e poi John von Neumann morirono. Queste due perdite lo segnarono profondamente.

5. Nachlass… Il disperato tentativo di ridurre tutto ad Unità

Nell’ultima parte della sua vita, Gödel riprese a studiare filosofia e teologia perché voleva ardentemente costruire un sistema filosofico e scientifico.

I suoi filosofi di riferimento erano tre: Leibniz, Husserl e Hilbert. Il suo sistema aveva come punto di partenza Dio, che era concepito come Monade Centrale (Leibniz). Attorno ad esso, immaginava di determinare alcune idee e concetti fondamentali. Per la loro comprensione riteneva importante la fenomenologia di Edmund Husserl. Questo sistema doveva essere congegnato come un sistema formale assiomatico come quelli sviluppati da David Hilbert.

Gödel si impegnò per anni su queste questioni. Il suo progetto rimase in uno stato frammentario. L’unità della scienza e il progetto di un sistema filosofico-scientifico omnicomprensivo rimasero solo dei desideri irrealizzati.

Nell’ultimo volume della sua opera omnia, in cui sono raccolti i frammenti postumi, si trova anche una nuova formulazione della prova ontologica dell’esistenza di Dio, una celebre argomentazione sviluppata da Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109) nel Proslogion. Per tutta la vita, Gödel professò la fede luterana. Credeva nell’esistenza dello spirito e aveva anche un certo interesse per la demonologia. Non riuscì mai a completare e pubblicare i saggi su questioni filosofiche perché non li riteneva maturi e perfetti.

Dopo la sua morte, le sue opere sono state raccolte in un’edizione che è composta di soli 6 volumi. Il più grande logico di tutti i tempi ha pubblicato solo alcuni articoli su riviste specialistiche, brevi memorie e saggi su filosofia della scienza. Era noto per la pignoleria e la scrupolosità con cui preparava i propri lavori. Probabilmente la costruzione di un sistema filosofico-scientifico unico era troppo difficile da realizzare anche per una mente acutissima e geniale come quella di Gödel.

venerdì 17 dicembre 2021

Ludwik Zamenhof, l’Esperanto e il progetto di una lingua universale

1. La ricerca di una lingua universale.

Nel corso della storia numerosi intellettuali, filosofi, teologi, maghi, diplomatici hanno affrontato il problema della molteplicità delle lingue nel mondo. Secondo la Bibbia, tale fenomeno sarebbe la punizione di Dio per un peccato di superbia compiuto dagli uomini. In molte culture, si è diffusa l’idea che sia possibile lavare e curare la ferita della molteplicità delle lingue con una lingua perfetta, una lingua universale.

Alcuni cabalisti e maghi come John Dee e Jacob Bohme hanno cercato di ricostruire la lingua originaria dell’umanità. Altri come John Wilkins e George Dalgarno hanno cercato di costruire una lingua che esprimesse in modo perfetto la natura più intima delle cose attraverso un simbolismo ardito. Altri ancora hanno cercato di costruire una lingua con una grammatica semplice e con vocaboli che tenessero conto delle radici comuni alle varie lingue. È il caso dell’esperanto.

L’inizio del Padre nostro nell’essay di Wilkins

Opera di Dalgarno

2. Ludwik Lejzer Zamenhof (1859-1917)

Il progetto di una lingua universale è stato diffuso al di fuori dei cenacoli dei linguisti e degli intellettuali dal medico Ludwik Lejzer Zamenhof (1859-1917). A Białystok, sua città di origine vivevano quattro gruppi etnici: russi, polacchi, tedeschi ed ebrei. Ciascuno di questi gruppi parlava una lingua diversa e aveva relazioni precarie con i membri degli altri gruppi. Questa situazione traumatizzò sin dalla giovinezza il giovane Ludwik e lo portò a pensare che “la diversità di lingue è la sola causa o almeno la principale che allontana la famiglia umana e la divide in fazioni nemiche”.

A partire dal 1878 cominciò ad elaborare un progetto di lingua universale. Tale ricerca lo pose in urto con il padre che gli tolse i manoscritti e li bruciò. Gli impose di non occuparsi di tali argomenti e di intraprendere lo studio della medicina.

Zamenhof si trasferì a Mosca dove conseguì la laurea in medicina, si specializzò in oftalmologia e continuò gli studi sulla lingua e sull’origine delle lingue. Nel 1887 pubblicò Unua libro, il primo libro della  lingvo internacia,  la lingua internazionale, sotto lo pseudonimo di “Doktoro Esperanto”. Questo testo contiene le 16 regole fondamentali dell’esperanto e i primi 900 vocaboli. Scriveva nel libro queste parole: “sono cosciente che nella propria vita privata ogni uomo ha il pieno e insindacabile diritto di parlare quella lingua o dialetto che per lui è il più piacevole, e confessare quella religione che maggiormente lo soddisfa, ma nella comunicazione con uomini di altre lingue o religioni deve adoperarsi di usare una lingua neutrale e vivere secondo etica e costumi neutrali.”.

Il libro fu pubblicato prima in russo, poi in ebraico e polacco, e subito dopo, nelle lingue occidentali, man mano che si formavano circoli esperantisti nei vari stati europei. Zamenhof fondò anche una rivista: La Esperantisto.  

Tra i primi e più entusiasti sostenitori dell’esperanto ci fu Lev Tolstoj. Nel 1905 ebbe luogo il primo, solenne, congresso internazionale esperantista, a Boulogne-sur-Mer (Francia), dove presero parte 688 esperantisti provenienti da svariati stati e tra gli altri anche il Ministro della Pubblica Istruzione francese, il sindaco di Parigi, e diversi scienziati famosi.

La sua fama raggiunse l’apice in quegli anni tanto che Doktoro Esperanto fu candidato ben 12 volte al Premio Nobel per la Pace. Morì nel 1917 in profonda angoscia per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

3. L’ Homaranismo.

Zamenhof collegò l’esperanto ad una propria filosofia denominata Homaranismo, che è una forma di umanesimo laico.  Secondo questa visione l’umanità è considerata come “un’unica famiglia”, e purtroppo “la separazione dell’umanità in diverse etnie reciprocamente nemiche e in comunità etnoreligiose è una delle più grandi infelicità che presto o tardi devono scomparire.”. Così scrive nel primo principio della Dichiarazione sull’Homaranismo.

Il secondo principio è estremamente eloquente: “Vedo in ogni uomo solo un essere umano, e lo valuto solo secondo il suo valore personale e le sue azioni. Considero come una barbarie qualsiasi tipo di offesa o di oppressione nei riguardi di qualcuno che abbia un’etnia, lingua, religione o classe sociale differente dalla mia.”. Questo principio sarà accolto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo dell’ONU.

Il terzo principio è un rifiuto del nazionalismo: “Sono cosciente che ogni paese appartiene né a questa né a quella etnia, bensì in egual diritto e in egual misura, a tutti i suoi abitanti, qualunque sia la loro origine, lingua, religione o ruolo sociale; l’identificazione degli interessi di un paese con gli interessi di questa o quella etnia o religione e qualsiasi tipo di diritti storici presunti su quali si fonderebbe la pretesa di una sola etnia di governare sulle altre e di disconoscere a loro il più elementare e naturale diritto alla patria, io li considero come un residuo dei tempi barbari, quando esisteva solo il diritto del pugno e della spada.”.

4. Alla diffusione dell’esperanto ha contribuito moltissimo la massoneria internazionale con tutte le inevitabili speculazioni da parte dei giornali e dell’opinione pubblica. I critici danno per scontato che Zamenhof fosse massone, anche se non esiste alcun documento presso la Gran Loggia di Polonia in tale senso.

Il messaggio dell’esperantismo fu accolto dal Baha’ismo una religione nata in Persia e lì perseguitata. Lidia, la figlia di Ludwik Zamenhof ed illustri esperantisti come Alessandro Bausani vi aderirono.

Nonostante il successo, l’esperanto e le associazioni ad esso collegate non ebbero vita facile. Nel 1920 fu presentata una petizione in favore dell’esperanto alla Società delle Nazioni che fu bloccata dal voto contrario del governo francese. Qualche anno più tardi, Hitler condannò nel Mein Kampf sdegnosamente l’esperanto, l’esperantismo e qualsiasi progetto di lingua universale. Alcuni membri della famiglia di Ludwik Zamenhof furono sterminati nei campi di concentramento nazisti.

Anche l’Unione Sovietica di Stalin si affrettò a bandire l’esperanto. In molti stati totalitari, gli esperantisti furono perseguitati e uccisi.

Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale le organizzazioni internazionali come l’ONU, l’UNESCO e l’Unione Europea hanno avuto modo di occuparsi dell’esperanto e di una sua eventuale introduzione.

Sulla necessità sono tornati spesso alcuni linguisti come il già citato Alessandro Bausani (1921-1988), autore tra l’altro di Le lingue inventate e soprattutto Mario Pei (1901-1978) che ha pubblicato One language for the world.  Su internet esistono numerose associazioni di costruttori di lingue (https://conlang.org/). Ci sono anche i software che permettono persino di elaborare gli alfabeti e i dizionari.

Addirittura Berlinghiero Buonarroti e Paolo Albani hanno pubblicato Aga megera difura, un dizionario che raccoglie tutti i progetti di lingua internazionale, pasigrafie, lingue immaginarie, lingue sacre.

Il grande Umberto Eco ha dedicato a questo argomento un saggio storico intitolato La ricerca della lingua perfetta.

P. Albani - B. Buonarroti, Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie, Zanichelli, Milano.

A. Bausani, Le lingue inventate, Ubaldini, Roma, 1974.

mercoledì 17 novembre 2021

Josè Ortega y Gasset. Pedagogia sociale, rifiuto dell’Uomo-Massa: Stati Uniti d’Europa

Il malvagio qualche volta si riposa, l’imbecille mai.”.

J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse.

Nelle ultime pagine del saggio intitolato La ribellione delle masse, il filosofo Josè Ortega y Gasset (1883-1955) scriveva: “Questo è il problema: l’Europa è rimasta senza morale. Non è che l’uomo-massa disprezzi la morale antiquata a vantaggio di un’altra che s’annunzia, ma è che il centro del suo regime vitale consiste precisamente nell’aspirazione senza sottoporsi a nessuna morale …”. Parlare di una nuova morale diviene oggi quasi un atto immorale. Pur tuttavia, “sarebbe un’ingenuità rinfacciare all’uomo d’oggi la sua carenza di moralità. L’imputazione lo lascerebbe senza disagio e, anzi lo lusingherebbe. L’immoralismo è arrivato a un prezzo molto basso, e chiunque ostenta di esercitarlo”. Il diffuso immoralismo porta tutti a ritenersi titolare di diritti illimitati. Inoltre, questa immoralità porta tutti a presentarsi giovani anche a costo di rasentare il ridicolo ed esaltare l’apparenza.  Secondo questo filosofo, questa situazione permette ai reazionari e agli antiliberali di presentarsi come i salvatori della patria, imponendo un regime di violenza su tutti. Allo stesso modo, altri tribuni della plebe si fanno strada cavalcando alcuni desideri della gente al solo scopo di “potersi sciogliere da ogni obbligo, - come la cortesia, la veridicità, e, soprattutto, il rispetto e la stima degli individui superiori.”. In modo potente, Ortega y Gasset descrive una situazione molto diffusa nella società di massa, in cui l’uomo-massa, ossia l’uomo medio livella tutto e distrugge qualsiasi morale e possibilità del progresso.

L’ingresso delle masse porta al livellamento delle fortune, dei sessi, delle classi sociali e persino dei continenti. È innanzitutto l’impero dei luoghi comuni e della negazione della storia, della memoria storica e più in generale alla cultura, ed in particolare, alla cultura umanistica. Ciò che importa o che è desiderabile può essere comprato. Questa condizione dell’uomo moderno è un misto di strapotenza e di incertezza. E questa situazione può portare tutto verso il regresso, la barbarie e la decadenza.

Per il filosofo, l’Umanità si divide in massa e minoranze, dove per “minoranze” non si intendono le classi o i ceti, i gruppi di coloro che accumulano difficoltà e doveri. Le masse non esigono nulla di speciale e non si pongono alcun fine superiore. Per certi versi, il concetto espresso da Ortega y Gasset è simile alla distinzione tra la massa degli indifferenti e le minoranze di “partigiani” fatta da Gramsci.

Il filosofo spagnolo pur scrivendo nella prima metà del XX secolo intuisce che la tecnologia non sempre è uno strumento di emancipazione delle masse. Anzi spesso, non le educa, semmai le dis-educa e le riduce in uno stato di primitivismo. Questo stadio è, secondo Ortega y Gasset, ulteriormente aggravato dalla specializzazione del lavoro. La tecnica – noi diremmo anche i mass-media – riescono a togliere la sensibilità alle masse verso i doveri storici, a sottometterle al potente di turno e portarle al rifiuto di qualsiasi pensiero critico o complesso.

Ortega y Gasset non era assolutamente un reazionario contrario a qualsiasi avanzamento o cambiamento sociale, politico ed economico. Anzi fu sempre avversato dai cattolici e dai franchisti. L’opera che abbiamo citato, La ribellione delle masse, fu pubblicata nell’ultimo anno della dittatura di Miguel Primo de Rivera (1870-1930).

Pur nutrendo un profondo pessimismo nei confronti della società di massa del XX secolo, non perse mai la speranza di potere contribuire in modo diretto al miglioramento delle condizioni politiche ed economiche della Spagna e alla diffusione del liberalismo e della democrazia. Per il filosofo, le trasformazioni della società del XX secolo sono i risultati complessi e contraddittori dello sviluppo della razionalità moderna a cui non si può assolutamente rinunciare. La sua lunga permanenza in Germania e l’approfondimento della filosofia tedesca e della scienza moderna lo avevano convinto che la Ragione Critica fossero la cifra imprescindibile della Modernità e la via verso il Progresso. Il suo atteggiamento verso la Modernità e i processi di secolarizzazione sono simili a quelli di Max Weber: accettazione dell’accelerazione temporale dovuta al progresso, consapevolezza dei processi di secolarizzazione, attivismo forte e incisivo dell’intellettuale nella vita sociale e politica della propria comunità.

Per tutta la vita, Ortega y Gasset incarnò il ruolo intransigente del difensore del liberalismo in Spagna. Rassegnò le dimissioni dall’Università quando Miguel Primo de Rivera compì il colpo di stato. Si rifiutò di prestare adesione politica alla Repubblica Spagnola in nome della libertà della ricerca e di pensiero. Nella II repubblica spagnolo fu eletto parlamentare nella provincia di Leon e fu portavoce del suo partito nella Commissione che redigeva la nuova Costituzione.

All’inizio della guerra civile, alcuni comunisti si presentarono nella sua dimora intimandogli di firmare un manifesto contro il colpo di stato messo in atto dai nazionalisti il 17 luglio 1936. Il filosofo, già malato, si rifiutò di firmarlo.  La figlia riuscì a convincerlo a scrivere e firmare un altro documento più breve meno politicizzato Abbandonò la Spagna e visse in esilio. Solo dopo molti anni gli fu permesso di rientrare nella terra natale ma gli fu impedito di insegnare nelle università spagnole. Continuò a lavorare in una università privata poco importante. Ripartì di nuovo dalla Spagna adducendo problemi di salute grazie all’appoggio del figlio che militava in partiti di sinistra e morì in esilio.

Per certi versi potrebbe essere paragonato a Benedetto Croce che fu uno dei più tenaci oppositori del fascismo. Il paragone è possibile ma fino ad un certo punto. Ortega y Gasset era membro della Massoneria e ciò gli comportò molti problemi. Inoltre, era un professore universitario molto geloso della sua libertà di ricerca e di indipendenza dal potere politico. Lo testimonia il fatto che si dimise dall’università in polemica con il dittatore Primo de Rivera. Aveva sicuramente molto più intuito politico di Benedetto Croce, il quale dal canto suo fino al 1924 votò a sostegno del governo di Benito Mussolini. Ortega y Gasset aveva un carattere molto più difficile. Inoltre, la sua filosofia era molto più sconvolgente dell’idealismo crociano, in quanto il filosofo spagnolo aveva frequentato le università tedesche e aveva una dimensione culturale molto più europea rispetto a quella del suo collega italiano.

Dal punto di vista pratico aspirava a creare un’aristocrazia di pensatori ed intellettuali dotati di ampia cultura umanistica contro le dittature, l’uomo-massa e l’abbrutimento e la specializzazione presente nella società di massa.

Il primo passo di questo programma di rinnovamento è rappresentato dalla pedagogia e dal sistema educativo. Ortega y Gasset ha lasciato molti scritti sulla pedagogia come “La pedagogía del paisaje” (1906) o “Elogio de las virtudes de la mocedad” (1925), “La pedagogía social como programa político” (1910), l’introduzione che scrisse per la pubblicazione dell’opera di Herbart La pedagogía general derivada del fin de la educación (1914) e “Misión de la Universidad” (1930).

Era sostenitore di un sistema di educazione per l’infanzia. Inoltre, si impegno moltissimo per la riforma degli studi universitari e della struttura dell’università. Elaborò una pedagogia sociale in cui l’azione educativa non è rivolta solo ai singoli ma ai gruppi al fine di permettere l’emancipazione delle masse.

La sua pedagogia sociale era strettamente connessa con la democrazia e il sistema liberale. È sulla stessa linea di pensiero di John Dewey, Carlo Rosselli, Sergej Hessen che stabiliscono un fortissimo legame tra democrazia, morale e pedagogia. Per Ortega y Gasset il sistema liberale è imprescindibile, bisogna conservarlo e operare al suo interno per migliorarlo e superarlo.

La pedagogia sociale e lo stato liberale sono solo i primi due stadi di un percorso educativo e storico che ha come fine il superamento degli stati nazionali europei e la creazione di una federazione europea dove convergono tutti gli intellettuali e le migliori forze morali, intellettuali e politiche dell’Europa.

Per il filosofo spagnolo, i processi di unificazione che hanno portato alla nascita degli stati nazionali europei sono stati complessi e talvolta anche forzati. Non si può parlare di “frontiere naturali”, anzi queste sono veri e propri miti proprio perché le identità degli stati nazionali sono molto articolate e variegate. Lo stato nazionale è solo uno stadio verso la formazione di comunità sempre più ampie multi-linguistiche e multi-nazionali e quindi nella creazione degli Stati Uniti d’Europa (vedi anche Meditazioni sull’Europa).

La vita e le opere di Josè Ortega y Gasset sono una fonte di importanti riflessioni. Innanzitutto va apprezzata la dimensione europea della sua cultura e la sua apertura verso la Ragione e il Progresso. A mio modesto avviso, va esaltata la sua forza e coerenza nei momenti in cui Spagna ci furono le dittature di Miguel Primo de Rivera e Francisco Franco, nonché la difesa della libertà accademica nel periodo della Repubblica Spagnola. Questa capacità e fermezza è mancata in Italia a molti sedicenti liberali come Benedetto Croce. Il fascismo è arrivato al potere non tanto per i meriti dei suoi leader politici, ma soprattutto per la debolezza, le incoerenze e la complicità dei liberali italiani con quel movimento.

Il suo progetto di unire gli intellettuali in una sorta di aristocrazia del pensiero umanistico è molto interessante. È presente anche in altri autori come il conte Richard Coudhenove-Kalergi. Non si può tacere che però il loro disegno sembra essere andato in frantumi in Europa. Lo specialismo delle tecnocrazie europee ha staccato l’Unione europea dalle masse, ha reso le istituzioni europee un organismo confuso ed indecifrabile. La crisi morale e politica dell’Europa è dovuta all’emersione di un nuovo modello di Uomo-massa ma soprattutto alla mancanza di grandi figure politiche autorevoli e credibili in grado di persuadere le popolazioni dell’importanza e della realizzabilità del sogno dell’unificazione europea.

Sarebbe necessario avere qualche nuovo Ortega y Gasset o Altiero Spinelli. Bisogna anche stare attenti ai nuovi vari Benedetto Croce, a tutti quelli che vogliono costituzionalizzare i fascismi, a quelli che ci mettono anni per decifrare e capire che si trovano davanti ad una dittatura o a nuove forme di autoritarismo e totalitarismo.

sabato 13 novembre 2021

Democrazia come grande sistema educativo

Molti filosofi e pedagogisti del XX secolo hanno sottolineato lo stretto legame tra il sistema educativo e la democrazia. John Dewey (1859-1952) ha elaborato una proposta educativa con la quale formare uomini e donne in grado di esercitare una professione adeguata e di partecipare alla vita democratica del proprio stato. Il sistema scolastico dovrebbe permettere a tutti di emanciparsi intellettualmente e socialmente e di avere gli strumenti critici ed intellettuali per votare e per decidere di volta in volta sulle scelte del proprio comune o del proprio stato. Anche Sergej Hessen (1887-1950), pedagogo social-riformista di origine russa, ha ideato un sistema scolastico unico fino ai 18 anni al fine di permettere ai cittadini una graduale e completa formazione sia in campo culturale, sia a livello lavorativo e soprattutto nell’approfondimento dei valori della propria comunità nazionale e dell’umanità. In queste visioni, il sistema educativo e i metodi pedagogici sono in un certo senso propedeutici o collegati alla democrazia.

Ci sono, però, alcuni autori che, pur riconoscendo l’importanza del sistema educativo negli stati democratici, considerano già la democrazia come un grande ed organico sistema educativo. Questa tesi è sviluppata in vari modi da quei filosofi che non parlano della democrazia in generale, ma che descrivono le procedure e il funzionamento degli organi di uno stato democratico. Mill è stato autore de Il governo rappresentativo e Tocqueville ci ha lasciato il grandissimo capolavoro de La democrazia in America.

Democrazia significa innanzitutto autodeterminazione di un popolo, autonomia morale degli individui, loro eguaglianza davanti alla legge, autogoverno della comunità.  Partendo proprio da questi quattro elementi, John Stuart Mill (1806-1873) e Alexis de Tocqueville (1805-1859) sostengono che la democrazia offre molte occasioni ai cittadini di impegnarsi negli incarichi pubblici, nell’amministrazione delle città e degli enti dello stato e soprattutto di essere sottoposti alla verifica da parte dei cittadini. Secondo questi autori, i membri di una comunità democratica maturano e affinano le proprie capacità politiche con la quotidiana applicazione del diritto e delle procedure democratiche. Il cittadino impara e comprende il funzionamento e le regole della democrazia proprio perché le applica concretamente.

Nella pedagogia di Dewey si parla di learning by doing, ossia di apprendimento attraverso la pratica concreta di qualcosa. Alcuni autori – in particolare Tocqueville – sostengono che tutto il sistema democratico possa essere considerato un grande insieme di occasioni di apprendimento attraverso l’applicazione dei diritti umani e delle procedure democratiche.

Questa tesi era già stata espressa in forma diversa da Marco Tullio Cicerone. Il grande oratore romano, infatti, non sosteneva apertamente che il modello politico della repubblica romana fosse un grande sistema educativo, ma rifletteva sulla natura del diritto. Pur ammettendo l’esistenza di un diritto naturale universale ed eterno, sosteneva che lo sviluppo e la comprensione del diritto passa attraverso la pratica quotidiana e l’applicazione giurisprudenziale. La comunità dei politici e degli operatori del diritto approfondisce costantemente la propria conoscenza degli istituti giuridici e delle strutture dello stato proprio con l’applicazione costante e collettiva.

Autori come Mill e Tocqueville ritengono che la democrazia e le procedure democratiche richiedano al massimo grado proprio il processo descritto da Cicerone e in precedenza delineato in modo molto semplificato.

In conclusione, la scarsa partecipazione al voto e alla vita democratica di uno stato, l’anti-politica che porta al potere i demagoghi e i dittatori sono il fallimento educativo della democrazia stessa e non semplicemente l’effetto del collasso del suo sistema scolastico e formativo.

sabato 29 maggio 2021

“I Cavalieri” un’antica commedia greca sulla demagogia

1.

“I Cavalieri” è il titolo di una commedia di Aristofane rappresentata nel 424 a.C., di estrema attualità perché spiega cosa è la demagogia e mostra i metodi usati dai demagoghi per raggiungere il potere. Descrive anche con una certa acutezza, la degenerazione del confronto politico nella democrazia e la facilità con cui sia possibile ingannare il popolo all’interno delle assemblee o nelle procedure democratiche.

Allo stesso tempo, Aristofane ha inserito moltissimi riferimenti agli eventi storici del suo tempo. Il personaggio di Plafagone è ritagliato a partire da quella di Cleone, conciatore di pelli e uomo politico ateniese che l’autore considerava un uomo corrotto. Pare che Aristofane abbia dovuto costruire personalmente la maschera da indossare sulla scena e che abbia dovuto sostenere la parte di Plafagone, perché nessun attore voleva correre il rischio di incorrere nelle ire di Cleone e dei suoi compagni di partito.

2.

Il personaggio principale della commedia è Popolo (demos in greco), un vecchio sordo diffidente e irascibile che ha vari schiavi al suo servizio. Tra questi c’è Paflagone, un conciapelli che deruba e dilapida le sostanze di Popolo. È un uomo molto potente capace di influenzare l’assemblea e gli organi di governo. Tale situazione genera la preoccupazione di due schiavi. Mentre Plafagone dorme perché ha mangiato e bevuto cibo confiscato, questi due schiavi gli rubano alcune carte che riportano l’oracolo di Delfi. Nel papiro è scritto che Paflagone sarà scacciato da un individuo peggiore di lui, un vero e proprio lestofante.

I due schiavi prendono coraggio e riescono ad individuare un soggetto che ha tutte le caratteristiche descritte nell’oracolo. Si tratta di un salsicciaio: è rude e disonesto, conosce bene la piazza e sa a stento leggere e scrivere. I due schiavi gli leggono l’oracolo da cui si evince che sta per finire l’era dei Plafagoni e sta per cominciare l’era dei trippai e dei macellai e lo convincono che proprio lui è il governante ideale. Lo lanciano contro il conciatore e gli suggeriscono di cercare prima anche l’appoggio tra i cavalieri, una classe agiata contraria Plafagone.

Inaspettatamente quest’ultimo esce dalla casa di Popolo e viene assalito da alcuni che cercano di percuoterlo. La rissa ad un certo punto si arresta e Plafagone sfida tutti a chi grida più forte.

Ne nasce il primo scontro tra Plafagone e il salsicciaio. Entrambi urlano e si scambiano rispettive accuse. Ognuno cerca di esaltare se stesso come uomo furbo e accusa l’altro di essere un truffatore e di avere rubato milioni. Plafagone cerca di offrirne qualcuno al salsicciaio che rifiuta. La situazione degenera e Plafagone viene percosso nuovamente e sviene.

Successivamente il Salsicciaio racconta le sue imprese nell’agorà dove ha avuto il secondo scontro con Plafagone. Nell’assemblea il conciatore in un primo momento il conciatore pareva essere il padrone della situazione, ma il salsicciaio era riuscito a spuntarla spargendo la falsa notizia del ribasso del prezzo delle alici. Ciò aveva determinato l’approvazione dell’assemblea e il salsicciaio era riuscito a convincere tutti a votare per la continuazione della guerra piuttosto che una tregua.

Ma Plafagone è un politico navigato. Anche se indebolito non demorde. Si ha così il terzo scontro tra i due. Cominciano ad insultarsi e gridare come sempre. Paflagone risponde alla volgarità del salsicciaio con l’arroganza. Per dimostrare la sua forza, il salsicciaio chiama in scena Popolo. Il conciatore e il salsicciaio cercano di accaparrarsi il favore di Popolo con le lusinghe e con delle offerte. Il salsicciaio denigra l’opera di Plafagone e mostra a tutti come quest’ultimo sfrutti la propria posizione per favorire la propria produzione di pelli e quella dei suoi amici. Mostra a tutti come gli scudi dei militari della città abbiano le cinghe di produzione plafagonea. Indubbiamente il salsicciaio è più convincente nel presentare i doni a Popolo. I suoi doni sono prelibatezze culinarie: involtini, carni, calamari.

Nonostante questa vittoria, Plafagone è ancora al potere e cerca di resistere utilizzando gli oracoli, ossia sfruttando la religione. Il quarto scontro verte proprio sull’interpretazione di alcuni oracoli. Anche qui il salsicciaio è più forte, perché convince popolo che quei vaticini contengano promesse di futura grandezza. I due litiganti continuano ad adulare Popolo. Alla fine Plafagone deve cedere perché l’oracolo è chiaro: deve essere spodestato da un trippaio. Anche gli dei confermano e vogliono questo cambio al vertice del potere della città. Gli effetti su popolo sono evidenti: pur essendo vecchio, crede il contrario e si presenta vestito come un uomo giovane. Il salsicciaio gli fornisce anche una donna: tregua. Plafagone non viene punito, ma comincia a fare il salsicciaio.

3.

La commedia è esposizione ampia e dettagliata dei metodi usati dai demagoghi per raggiungere e mantenere il potere.

Aristofane propone lo scontro tra due tipologie di demagoghi: il conciatore Plafagone e il salsicciaio. Plafagone è un politico navigato che ha sfruttato le sue cariche politiche per arricchire se stesso e altri a lui vicini. Il salsicciaio è un disonesto che si è arricchito rubando soprattutto ai privati e che aspira ad avere una carica per potere sfruttare l’amministrazione pubblica per i propri affari.

Il popolo è rappresentato da un vecchio sordo e irascibile che si fa abbindolare facilmente dai demagoghi.

La commedia descrive i livelli della demagogia. Il primo livello è rappresentato dall’ingresso del salsicciaio nell’agone politico. Si accattiva le simpatie del popolino perché conosce la piazza e usa lo stesso linguaggio volgare e scurrile. È uno che non sa fare un discorso argomentato, ma sa urlare bene. Dietro di sé ha soprattutto i cavalieri, gente agiata e che disprezza il popolo, che punta su uno del popolo per riconquistare il potere.

Il secondo livello della demagogia è rappresentato dall’uso delle fake news. Il salsicciaio riesce a convincere l’assemblea popolare diffondendo la fake new sul ribasso delle alici. L’effetto è dirompente: l’assemblea approva la continuazione della guerra invece di approvare la tregua.

Il terzo livello della demagogia sta nella capacità del demagogo di abbindolare il popolo con lusinghe, con elargizioni (es. il cibo o altri vantaggi). Nella commedia il salsicciaio riesce ad ottenere il favore del vecchio popolo con il cibo (carni e pesci) ossia con dei provvedimenti allettanti che permettano ai più di riempirsi la bocca e la pancia. Chiaro è il riferimento ad alcuni provvedimenti di Cleone.

Il quarto livello della demagogia tocca la religione. Aristofane mostra come i politici ricorrano alla religione per giustificare il proprio potere o per illudere il popolo di grandiose vittorie con ogni sorta di menzogna.

La demagogia giunge al massimo livello quando il popolo crede alle menzogne e si crede quello che non è. Nella commedia il popolo, un vecchio sordo e debole, si crede giovane e forte e cede ai vizi che sono rappresentati dalla donna.

Infine Aristofane mostra di essere acutissimo, sottolineando che Plafagone, il demagogo spodestato riesce ad evitare la sua punizione. Gli si aprono due strade: o ritornare nella piazza a rubare i privati come aveva fatto il salsicciaio o salire sul carro del vincitore divenendo salsicciaio. In questi termini, credo che si possano interpretare le parole di Aristofane secondo le quali, alla fine, Plafagone comincia a fare il salsicciaio.

Si tratta di un vero capolavoro. È poco letto nei licei ed è tradotto malissimo dai professori universitari perché è difficilissimo rendere in italiano la lingua comica del suo autore. È un testo che andrebbe riletto con attenzione, perché penetra in profondità i difetti del sistema democratico e i metodi usati dai demagoghi per arrivare al potere.

Il Big Bang non c’è mai stato… Teorie alternative nella scienza del XX e XXI secolo

Il Big Bang non c’è mai stato… Così afferma il prof. Eric Lerner, che ha pubblicato nei primi anni Novanta un fortunato saggio con questo ti...