mercoledì 17 novembre 2021

Josè Ortega y Gasset. Pedagogia sociale, rifiuto dell’Uomo-Massa: Stati Uniti d’Europa

Il malvagio qualche volta si riposa, l’imbecille mai.”.

J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse.

Nelle ultime pagine del saggio intitolato La ribellione delle masse, il filosofo Josè Ortega y Gasset (1883-1955) scriveva: “Questo è il problema: l’Europa è rimasta senza morale. Non è che l’uomo-massa disprezzi la morale antiquata a vantaggio di un’altra che s’annunzia, ma è che il centro del suo regime vitale consiste precisamente nell’aspirazione senza sottoporsi a nessuna morale …”. Parlare di una nuova morale diviene oggi quasi un atto immorale. Pur tuttavia, “sarebbe un’ingenuità rinfacciare all’uomo d’oggi la sua carenza di moralità. L’imputazione lo lascerebbe senza disagio e, anzi lo lusingherebbe. L’immoralismo è arrivato a un prezzo molto basso, e chiunque ostenta di esercitarlo”. Il diffuso immoralismo porta tutti a ritenersi titolare di diritti illimitati. Inoltre, questa immoralità porta tutti a presentarsi giovani anche a costo di rasentare il ridicolo ed esaltare l’apparenza.  Secondo questo filosofo, questa situazione permette ai reazionari e agli antiliberali di presentarsi come i salvatori della patria, imponendo un regime di violenza su tutti. Allo stesso modo, altri tribuni della plebe si fanno strada cavalcando alcuni desideri della gente al solo scopo di “potersi sciogliere da ogni obbligo, - come la cortesia, la veridicità, e, soprattutto, il rispetto e la stima degli individui superiori.”. In modo potente, Ortega y Gasset descrive una situazione molto diffusa nella società di massa, in cui l’uomo-massa, ossia l’uomo medio livella tutto e distrugge qualsiasi morale e possibilità del progresso.

L’ingresso delle masse porta al livellamento delle fortune, dei sessi, delle classi sociali e persino dei continenti. È innanzitutto l’impero dei luoghi comuni e della negazione della storia, della memoria storica e più in generale alla cultura, ed in particolare, alla cultura umanistica. Ciò che importa o che è desiderabile può essere comprato. Questa condizione dell’uomo moderno è un misto di strapotenza e di incertezza. E questa situazione può portare tutto verso il regresso, la barbarie e la decadenza.

Per il filosofo, l’Umanità si divide in massa e minoranze, dove per “minoranze” non si intendono le classi o i ceti, i gruppi di coloro che accumulano difficoltà e doveri. Le masse non esigono nulla di speciale e non si pongono alcun fine superiore. Per certi versi, il concetto espresso da Ortega y Gasset è simile alla distinzione tra la massa degli indifferenti e le minoranze di “partigiani” fatta da Gramsci.

Il filosofo spagnolo pur scrivendo nella prima metà del XX secolo intuisce che la tecnologia non sempre è uno strumento di emancipazione delle masse. Anzi spesso, non le educa, semmai le dis-educa e le riduce in uno stato di primitivismo. Questo stadio è, secondo Ortega y Gasset, ulteriormente aggravato dalla specializzazione del lavoro. La tecnica – noi diremmo anche i mass-media – riescono a togliere la sensibilità alle masse verso i doveri storici, a sottometterle al potente di turno e portarle al rifiuto di qualsiasi pensiero critico o complesso.

Ortega y Gasset non era assolutamente un reazionario contrario a qualsiasi avanzamento o cambiamento sociale, politico ed economico. Anzi fu sempre avversato dai cattolici e dai franchisti. L’opera che abbiamo citato, La ribellione delle masse, fu pubblicata nell’ultimo anno della dittatura di Miguel Primo de Rivera (1870-1930).

Pur nutrendo un profondo pessimismo nei confronti della società di massa del XX secolo, non perse mai la speranza di potere contribuire in modo diretto al miglioramento delle condizioni politiche ed economiche della Spagna e alla diffusione del liberalismo e della democrazia. Per il filosofo, le trasformazioni della società del XX secolo sono i risultati complessi e contraddittori dello sviluppo della razionalità moderna a cui non si può assolutamente rinunciare. La sua lunga permanenza in Germania e l’approfondimento della filosofia tedesca e della scienza moderna lo avevano convinto che la Ragione Critica fossero la cifra imprescindibile della Modernità e la via verso il Progresso. Il suo atteggiamento verso la Modernità e i processi di secolarizzazione sono simili a quelli di Max Weber: accettazione dell’accelerazione temporale dovuta al progresso, consapevolezza dei processi di secolarizzazione, attivismo forte e incisivo dell’intellettuale nella vita sociale e politica della propria comunità.

Per tutta la vita, Ortega y Gasset incarnò il ruolo intransigente del difensore del liberalismo in Spagna. Rassegnò le dimissioni dall’Università quando Miguel Primo de Rivera compì il colpo di stato. Si rifiutò di prestare adesione politica alla Repubblica Spagnola in nome della libertà della ricerca e di pensiero. Nella II repubblica spagnolo fu eletto parlamentare nella provincia di Leon e fu portavoce del suo partito nella Commissione che redigeva la nuova Costituzione.

All’inizio della guerra civile, alcuni comunisti si presentarono nella sua dimora intimandogli di firmare un manifesto contro il colpo di stato messo in atto dai nazionalisti il 17 luglio 1936. Il filosofo, già malato, si rifiutò di firmarlo.  La figlia riuscì a convincerlo a scrivere e firmare un altro documento più breve meno politicizzato Abbandonò la Spagna e visse in esilio. Solo dopo molti anni gli fu permesso di rientrare nella terra natale ma gli fu impedito di insegnare nelle università spagnole. Continuò a lavorare in una università privata poco importante. Ripartì di nuovo dalla Spagna adducendo problemi di salute grazie all’appoggio del figlio che militava in partiti di sinistra e morì in esilio.

Per certi versi potrebbe essere paragonato a Benedetto Croce che fu uno dei più tenaci oppositori del fascismo. Il paragone è possibile ma fino ad un certo punto. Ortega y Gasset era membro della Massoneria e ciò gli comportò molti problemi. Inoltre, era un professore universitario molto geloso della sua libertà di ricerca e di indipendenza dal potere politico. Lo testimonia il fatto che si dimise dall’università in polemica con il dittatore Primo de Rivera. Aveva sicuramente molto più intuito politico di Benedetto Croce, il quale dal canto suo fino al 1924 votò a sostegno del governo di Benito Mussolini. Ortega y Gasset aveva un carattere molto più difficile. Inoltre, la sua filosofia era molto più sconvolgente dell’idealismo crociano, in quanto il filosofo spagnolo aveva frequentato le università tedesche e aveva una dimensione culturale molto più europea rispetto a quella del suo collega italiano.

Dal punto di vista pratico aspirava a creare un’aristocrazia di pensatori ed intellettuali dotati di ampia cultura umanistica contro le dittature, l’uomo-massa e l’abbrutimento e la specializzazione presente nella società di massa.

Il primo passo di questo programma di rinnovamento è rappresentato dalla pedagogia e dal sistema educativo. Ortega y Gasset ha lasciato molti scritti sulla pedagogia come “La pedagogía del paisaje” (1906) o “Elogio de las virtudes de la mocedad” (1925), “La pedagogía social como programa político” (1910), l’introduzione che scrisse per la pubblicazione dell’opera di Herbart La pedagogía general derivada del fin de la educación (1914) e “Misión de la Universidad” (1930).

Era sostenitore di un sistema di educazione per l’infanzia. Inoltre, si impegno moltissimo per la riforma degli studi universitari e della struttura dell’università. Elaborò una pedagogia sociale in cui l’azione educativa non è rivolta solo ai singoli ma ai gruppi al fine di permettere l’emancipazione delle masse.

La sua pedagogia sociale era strettamente connessa con la democrazia e il sistema liberale. È sulla stessa linea di pensiero di John Dewey, Carlo Rosselli, Sergej Hessen che stabiliscono un fortissimo legame tra democrazia, morale e pedagogia. Per Ortega y Gasset il sistema liberale è imprescindibile, bisogna conservarlo e operare al suo interno per migliorarlo e superarlo.

La pedagogia sociale e lo stato liberale sono solo i primi due stadi di un percorso educativo e storico che ha come fine il superamento degli stati nazionali europei e la creazione di una federazione europea dove convergono tutti gli intellettuali e le migliori forze morali, intellettuali e politiche dell’Europa.

Per il filosofo spagnolo, i processi di unificazione che hanno portato alla nascita degli stati nazionali europei sono stati complessi e talvolta anche forzati. Non si può parlare di “frontiere naturali”, anzi queste sono veri e propri miti proprio perché le identità degli stati nazionali sono molto articolate e variegate. Lo stato nazionale è solo uno stadio verso la formazione di comunità sempre più ampie multi-linguistiche e multi-nazionali e quindi nella creazione degli Stati Uniti d’Europa (vedi anche Meditazioni sull’Europa).

La vita e le opere di Josè Ortega y Gasset sono una fonte di importanti riflessioni. Innanzitutto va apprezzata la dimensione europea della sua cultura e la sua apertura verso la Ragione e il Progresso. A mio modesto avviso, va esaltata la sua forza e coerenza nei momenti in cui Spagna ci furono le dittature di Miguel Primo de Rivera e Francisco Franco, nonché la difesa della libertà accademica nel periodo della Repubblica Spagnola. Questa capacità e fermezza è mancata in Italia a molti sedicenti liberali come Benedetto Croce. Il fascismo è arrivato al potere non tanto per i meriti dei suoi leader politici, ma soprattutto per la debolezza, le incoerenze e la complicità dei liberali italiani con quel movimento.

Il suo progetto di unire gli intellettuali in una sorta di aristocrazia del pensiero umanistico è molto interessante. È presente anche in altri autori come il conte Richard Coudhenove-Kalergi. Non si può tacere che però il loro disegno sembra essere andato in frantumi in Europa. Lo specialismo delle tecnocrazie europee ha staccato l’Unione europea dalle masse, ha reso le istituzioni europee un organismo confuso ed indecifrabile. La crisi morale e politica dell’Europa è dovuta all’emersione di un nuovo modello di Uomo-massa ma soprattutto alla mancanza di grandi figure politiche autorevoli e credibili in grado di persuadere le popolazioni dell’importanza e della realizzabilità del sogno dell’unificazione europea.

Sarebbe necessario avere qualche nuovo Ortega y Gasset o Altiero Spinelli. Bisogna anche stare attenti ai nuovi vari Benedetto Croce, a tutti quelli che vogliono costituzionalizzare i fascismi, a quelli che ci mettono anni per decifrare e capire che si trovano davanti ad una dittatura o a nuove forme di autoritarismo e totalitarismo.

sabato 13 novembre 2021

Democrazia come grande sistema educativo

Molti filosofi e pedagogisti del XX secolo hanno sottolineato lo stretto legame tra il sistema educativo e la democrazia. John Dewey (1859-1952) ha elaborato una proposta educativa con la quale formare uomini e donne in grado di esercitare una professione adeguata e di partecipare alla vita democratica del proprio stato. Il sistema scolastico dovrebbe permettere a tutti di emanciparsi intellettualmente e socialmente e di avere gli strumenti critici ed intellettuali per votare e per decidere di volta in volta sulle scelte del proprio comune o del proprio stato. Anche Sergej Hessen (1887-1950), pedagogo social-riformista di origine russa, ha ideato un sistema scolastico unico fino ai 18 anni al fine di permettere ai cittadini una graduale e completa formazione sia in campo culturale, sia a livello lavorativo e soprattutto nell’approfondimento dei valori della propria comunità nazionale e dell’umanità. In queste visioni, il sistema educativo e i metodi pedagogici sono in un certo senso propedeutici o collegati alla democrazia.

Ci sono, però, alcuni autori che, pur riconoscendo l’importanza del sistema educativo negli stati democratici, considerano già la democrazia come un grande ed organico sistema educativo. Questa tesi è sviluppata in vari modi da quei filosofi che non parlano della democrazia in generale, ma che descrivono le procedure e il funzionamento degli organi di uno stato democratico. Mill è stato autore de Il governo rappresentativo e Tocqueville ci ha lasciato il grandissimo capolavoro de La democrazia in America.

Democrazia significa innanzitutto autodeterminazione di un popolo, autonomia morale degli individui, loro eguaglianza davanti alla legge, autogoverno della comunità.  Partendo proprio da questi quattro elementi, John Stuart Mill (1806-1873) e Alexis de Tocqueville (1805-1859) sostengono che la democrazia offre molte occasioni ai cittadini di impegnarsi negli incarichi pubblici, nell’amministrazione delle città e degli enti dello stato e soprattutto di essere sottoposti alla verifica da parte dei cittadini. Secondo questi autori, i membri di una comunità democratica maturano e affinano le proprie capacità politiche con la quotidiana applicazione del diritto e delle procedure democratiche. Il cittadino impara e comprende il funzionamento e le regole della democrazia proprio perché le applica concretamente.

Nella pedagogia di Dewey si parla di learning by doing, ossia di apprendimento attraverso la pratica concreta di qualcosa. Alcuni autori – in particolare Tocqueville – sostengono che tutto il sistema democratico possa essere considerato un grande insieme di occasioni di apprendimento attraverso l’applicazione dei diritti umani e delle procedure democratiche.

Questa tesi era già stata espressa in forma diversa da Marco Tullio Cicerone. Il grande oratore romano, infatti, non sosteneva apertamente che il modello politico della repubblica romana fosse un grande sistema educativo, ma rifletteva sulla natura del diritto. Pur ammettendo l’esistenza di un diritto naturale universale ed eterno, sosteneva che lo sviluppo e la comprensione del diritto passa attraverso la pratica quotidiana e l’applicazione giurisprudenziale. La comunità dei politici e degli operatori del diritto approfondisce costantemente la propria conoscenza degli istituti giuridici e delle strutture dello stato proprio con l’applicazione costante e collettiva.

Autori come Mill e Tocqueville ritengono che la democrazia e le procedure democratiche richiedano al massimo grado proprio il processo descritto da Cicerone e in precedenza delineato in modo molto semplificato.

In conclusione, la scarsa partecipazione al voto e alla vita democratica di uno stato, l’anti-politica che porta al potere i demagoghi e i dittatori sono il fallimento educativo della democrazia stessa e non semplicemente l’effetto del collasso del suo sistema scolastico e formativo.

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Il Big Bang non c’è mai stato… Così afferma il prof. Eric Lerner, che ha pubblicato nei primi anni Novanta un fortunato saggio con questo ti...