sabato 24 aprile 2021

Edison Studio realizza una nuova versione di Inferno 1911


L’Inferno di Dante ha ispirato numerosi artisti nel corso dei secoli e opere assolutamente originali e innovative. Ciò è accaduto con il triangolo magico tra Dante, un film muto prodotto nel 1911, e un gruppo di musicisti elettronici. Una storia che ha dell’incredibile. Nel 1911, la Milano Films ha realizzato il film intitolato Inferno ispirato ai personaggi del poema di Dante Alighieri. Molte scene sono state girate in Sicilia.

Nel 2002 e nel 2006 la Cineteca di Bologna ha restaurato la pellicola di questo film che è stato nuovamente ripubblicato. Due anni dopo, il Ravenna Festival ha commissionato ad Edison Studio di realizzare una nuova colonna sonora per Inferno.
L’Edison Studio è un centro di produzione di musica elettroacustica diretto da Mauro Cardi, Luigi Ceccarelli Fabio Cifariello Ciardi e Alessandro Cipriani. In particolare, il professore Cipriani è stato docente di musica elettronica presso l’Istituto Musicale Vincenzo Bellini di Catania.
Ai tempi del cinema muto, veniva proiettata la pellicola e i musicisti accompagnavano le immagini eseguendo la colonna sonora dal vivo. I musicisti di Edison Studio hanno realizzato una nuova colonna sonora che è una performance di live electronics. In altre parole, la pellicola di Inferno è proiettata in sale e le immagini sono accompagnate dalla musica realizzata attraverso i computer e gli strumenti in possesso di Edison Studio. La velocità di calcolo dei moderni processori montati negli attuali computer permette facilmente di gestire video, effetti ed elaborazioni audio in tempo reale.
Edison Studio ha realizzato una prima versione nel 2008, una seconda nel 2011 per il centenario del film Inferno e nel 2021 ha preparato una nuova versione per il Ravenna Festival 2021 nella cornice delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante.

Francesco Nicolosi rende omaggio a Sigsmund Thalberg

Il pianista catanese Francesco Nicolosi ha pubblicato per la casa editrice Naxos un cofanetto di 6 CD delle sue esecuzioni delle musiche di Sigsmund Thalberg di cui ricorre il 150° anniversario dalla morte. Si tratta di un’opera di grande interesse culturale perché Thalberg è stato uno dei più importanti e famosi pianisti del XIX secolo ed è ricordato anche come uno dei rivali musicali di Franz Liszt. Celebre è rimasto nella storia del pianoforte un duello musicale tra i due avvenuto il 31 marzo 1837 alla presenza della contessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso.

Una buona parte delle composizioni di Thalberg sono parafrasi, fantasie e capricci per pianoforte su temi di arie d’opera di Bellini, Rossini, Weber, Meyerbeer, Donizzetti. Sono composizioni di grande valore artistico e strumentale nel solco di una tradizione molto in voga all’epoca perché non esistevano strumenti di registrazione o dischi. Nelle sale da concerto e nei luoghi di riunione, il pubblico richiedeva l’esecuzione di brani celebri di opere famose o dei brani degli ultimi successi di qualche cantante o di qualche compositore. I pianisti e gli strumentisti, ben presto hanno cominciato a trascrivere per il proprio strumento questi brani. Ci sono alcune di queste trascrizioni che sono semplici adattamenti. Altre come la Fantasia sul “Mosè” di Rossini op. 33 di Thalberg e Reminiscences de Norma di Liszt sono due capolavori. Queste composizioni rigenerano totalmente al pianoforte parti delle opere liriche dell’epoca e sono pensate anche per mostrare il virtuosismo del pianista.
Spesso questi brani erano usati per i duelli musicali, come quello già citato tra Thalberg e Liszt. Vigeva una prassi esecutiva molto differente da quella attuale in cui c’è l’assoluta scissione tra esecutore e compositore. Nel XIX secolo, i pianisti erano spesso anche compositori e direttori d’orchestra. Inoltre, erano in grado di improvvisare al pianoforte su qualsiasi tema venisse loro proposto o richiesto.
Il cofanetto pubblicato dalla casa Naxos contiene le esecuzioni di questi brani compiute dal Maestro Nicolosi. Contiene altresì un ulteriore gemma: l’esecuzione del Concerto per pianoforte e orchestra di Thalberg che è una composizione di grande valore artistico, purtroppo raramente eseguita.
Il maestro Nicolosi, già docente di “Prassi esecutiva e repertorio del pianoforte” presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ha dedicato molto attenzione all’opera pianistica di Thalberg. Ha fondato e dirige il Centro Studi Thalberg.

mercoledì 21 aprile 2021

I falansteri di Charles Fourier: quando l’utopia incontra la pianificazione urbanistica

L’utopia è la descrizione di un luogo immaginario in cui opera una comunità ideale fondata su leggi perfette, una città in cui regni la pace e l’armonia. Utopia è anche l’opera di Tommaso Moro che ha dato avvio ad un vero e proprio genere letterario e filosofico. Quasi tutti gli autori di opere utopiche hanno descritto la città ideale anche da un punto di vista architettonico e urbanistico. Si pensi alla collocazione dell’isola di Utopia in Tommaso Moro, alla struttura delle mura della Città del Sole di Campanella. Nel loro ambito gli urbanisti hanno cercato di trasferire nella progettazione degli edifici e delle città elementi utopici. La progettazione di una città diviene la realizzazione plastica di un’idea più alta, di una visione del mondo o di una nuova ideologia politica.

Questo rapporto tra utopia e progettazione urbanistica è presente nell’opera di Charles Fourier (1772-1837). Va sottolineato che questo filosofo e proto-sociologo non scrisse alcun libro del genere letterario e filosofico dell’Utopia. Al contrario, si dedicò allo studio razionale e scientifico della società e alla esposizione delle leggi che regolano la formazione della società e il divenire storico.
Fourier approfondì lo studio delle scienze, in particolare la fisica newtoniana e rielaborò le teorie democratiche di Jean-Jacques Rousseau. Sulla base di questi studi propose un modello di società egualitaria fondato sulla parità dei sessi, la massima libertà sessuale, l’abolizione del matrimonio e della famiglia monogamica, l’abolizione della proprietà privata, della moneta, dei rapporti di produzione capitalistici.
Sosteneva che la nuova società dovesse essere fondata su comunità denominate falansteri, unità composte da 1.600 persone. Nelle sue opere, il filosofo descrisse dettagliatamente la struttura urbanistica e architettonica di questi falansteri. Vari suoi allievi li rappresentarono anche con immagini e progetti urbanistici.
Alcuni di loro cercarono di realizzarli concretamente in Francia e soprattutto in America. La Colonie di Condè-sur-Vesgre fu uno dei primi (1832). Uno dei più celebri è stato il familisterio di Guise realizzato da Jean-Baptiste André Godin. Nel 1835 in Romania fu fondato il Falansterul de la Scăieni.
Un'altra celebre comunità fourierista fu la Reunion realizzata in Texas da Victor Considerant e Utopia in Ohio (1844). Negli Stati Uniti, ci fu una grandissima diffusione di gruppi fourieristi durante tutto il XIX secolo. Gruppi analoghi operarono anche in Brasile. Anche lì vari riformatori tentarono di attuare praticamente le idee di Fourier: il Falansterio do Saì. Successivamente in America del Sud, fiorirono e scomparvero comunità anarchiche simili ai falansteri come la colonia Cecilia fondata dall’anarchico italiano Giovanni Rossi e attiva tra il 1890 e il 1894.
Solo poche di queste comunità hanno avuto una lunga vita. Quasi tutte si sono sciolte o sono fallite dopo brevissimo tempo. Tuttavia l’eredità di Fourier si è fatta ugualmente sentire nel tempo, in quanto alcuni urbanisti hanno ripreso alcune delle sue idee per progetti di quartieri o di nuove città come il quartiere Paolo VI di Taranto. Inoltre, Charles Fourier può essere considerato il vero padre del maggio francese del 1968. La sua opera postuma intitolata Il nuovo mondo amoroso va considerata come uno dei pilastri della rivoluzione sessuale del XX secolo.

sabato 10 aprile 2021

Joe Schittino, eccellenza musicale siciliana

Joe Schittino si è diplomato in pianoforte con Luca Ballerini e in composizione con Giovanni Ferrauto presso l’Istituto Bellini di Catania, si è poi perfezionato con Azio Corghi e Ivan Fedele all’Accademia di Santa Cecilia in Roma. È anche laureato in lettere classiche. Attualmente ricopre l’incarico di Direttore dell’Istituto “Pietro Vinci” di Caltagirone dal 2017. Recentemente ha anche ottenuto un incarico di docenza di Teoria dell’Armonia e Analisi presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, dove ha studiato anche Vincenzo Bellini duecento anni fa. Nel 2010 Joe è stato il primo italiano a ricevere la commissione della Maison d’Éducation de la Légion d’Honneur (Petite Cantate Italienne: Parigi, Concert Présidentiel 2011 col patrocinio personale di N. Sarkozy). Ha composto alcune opere liriche, due delle quali sono state rappresentate: La Neuberin su libretto di Klaus Rohleder nel 2007 allo Stelzenfestspiele bei Reuth, e L’opera minima su libretto di Claudio Saltarelli da un lavoro giovanile di Luigi Illica, al Teatro Municipale di Piacenza nel 2020. Ha composto le musiche di scena per Le Supplici di Eschilo (XLV Ciclo di Rappresentazioni Classiche al Teatro Greco di Siracusa). Il Teatro Massimo Bellini di Catania gli ha commissionato la Passio Sanctae Agathae e Pane di rosa (cantate per coro e orchestra, la seconda su testo di Lina Maria Ugolini) e Una giornata (poema sinfonico). La sua musica è recensita su riviste musicali importanti ed è eseguita in numerosi Paesi in tutto il mondo.

Hai composto opere liriche per vari teatri. Secondo qualche melomane l’ultima grande opera sarebbe la Turandot di Puccini eseguita nel 1925. L’opera è ancora viva?

Altroché! L’opera è viva e vegeta e la tradizione, che a volte con faciloneria viene limitata a specifiche date ed eventi, trova invece continuità in una fioritura perenne di linguaggi, autori, tematiche, che è peraltro oggi piuttosto facile rintracciare: dai Dialogues des Carmélites a Soldaten a Britten, Ligeti, Kurtág, Knussen, Adès, Rautavaara, Battistelli, per non dire Corghi, che è stato il mio maestro a Santa Cecilia ed è un compositore che ci ha donato del teatro musicale ricchissimo di spunti di riflessione, nonché di raffinato senso della scena e infallibile gusto dell’orchestrazione. E per non dire della nuova generazione di giovani e giovanissimi compositori. Per quel che mi riguarda, il mio è uno sguardo camaleontico in avanti e indietro nel tempo e nei modi: non possiamo prescindere dalla tradizione, che comunque ci influenza (in fondo noi abbiamo il DNA dei nostri genitori). Ho per il momento la fortuna di insegnare (seppure, ahimè, online per contingenze sanitarie) in uno dei conservatori più prestigiosi d’Italia, San Pietro a Majella, che vide la fioritura dell’opera napoletana del XVIII secolo: per un compositore di trecento anni dopo, questo è un chiaro stimolo a superare con bravura la tradizione senza trasgredirla, e soprattutto senza violentarla (ci hanno già provato, con esiti disastrosi).

Opera o musical?

La scena mi intriga moltissimo, è un luogo in cui tutto può essere sognato, intersecato e vivere di vita propria. Sono emotivamente trasportato dallo storico teatro di rivista, dall’operetta, dalla commedia musicale italiana: Garinei e Giovannini, Sandro Massimini, la leggendaria Wanda Osiris. Giove in doppiopetto è un capolavoro, ma è solo la punta di un gigantesco iceberg la cui conoscenza, per un compositore impegnato in altre forme, è comunque imprescindibile (così come il teatro tradizionale di altre culture: sono un appassionato del kabuki, per esempio).

E l’Opera da tre soldi di Brecht musicata da Kurt Weill?

Si tratta di uno dei primi spettacoli a cui assistetti da ragazzino: era il 1992, avevo quindici anni e andai a Catanzaro, al teatro Masciari, per vedere l’opera diretta da Giorgio Gaslini con la partecipazione straordinaria della grandissima attrice Adele Fulciniti: fa parte di quelle esperienze che segnano e influenzano il percorso di una vita (ricordo anche, al Teatro Greco di Siracusa, gli splendidi Persiani di Eschilo nel 1990 e, nel 1992, l’orchestra del Bol’šoj: già componevo, ma fu allora che decisi che sarei diventato un artista professionista). Per questo sono affezionato alla Dreigroschenoper : la critica alla borghesia fatta in quel modo sublime da due grandissimi uomini di scena (Brecht e Weill) ha continuato per anni ad affascinare la mia adolescenza.

Alcuni compositori del XX secolo hanno ripreso la tradizione dell’oratorio. Mi vengono in mente il Moses und Aron di Schönberg, Le roi David e Jeanne d'Arc au Bûcher di Honegger, Oedipus Rex di Straninsky. Nella tua Passio Sanctae Agathae hai tenuto in considerazione questa tradizione?

La tradizione è dentro di noi, non possiamo muovere un passo senza tenerne conto (e senza cadere nel vuoto); il punto cruciale è piuttosto l’interpretazione del patrimonio tradizionale, nella prospettiva di una visione dei nostri giorni (e, nel mio caso specifico, che prescinda da un “prima” e un “dopo”: sono notoriamente allergico a cronologie e didascalie).  La Passio e Pane di rosa sono i due lavori sinfonico-corali che hanno visto la luce a un anno di distanza (entrambe commissioni del Teatro Massimo Bellini in occasione dei concerti straordinari di Sant’Agata 2020 e 2021): non sono oratori stricto sensu (non ci sono parti narrate) ma affrontano, a partire dalla grande diversità dei testi, due aspetti fondamentali della martire catanese. Nella Passio mi sono servito della Vita anonima contenuta in un codice trentino tardo-medievale, che ho scelto per la qualità austera del testo latino pieno di immagini cruente: ne è risultata una partitura scura, spigolosa, a pannelli, in cui il dramma del martirio si traduce in masse corali e strumentali alternate. In Pane di rosa il luminoso testo di Lina Maria Ugolini è di tutt’altro carattere, presentando tra l’altro Agata come “bambina”; la musica qui è più sottilmente esoterica e si lascia plasmare dalla leggerezza più aerea, arrivando a interpretare la Santuzza come una vera e propria Iside dei nostri giorni (viviamo o no in un mondo di splendidi sincretismi?).

Tra le tue composizioni figura anche il poema sinfonico Una giornata.

Si tratta di una nuova commissione del Teatro Massimo Bellini di Catania: è un lavoro ispirato a una delle ultime e più inquietanti novelle di Luigi Pirandello, forse quella in cui si trova la quintessenza della sua ricerca ultima: la deformazione del tempo, o della percezione, e lo sfilacciarsi della memoria a causa dell’apertura di “finestre segrete” in noi stessi. La musica da me composta vive di continue fibrillazioni che passano da una sezione all’altra dell’orchestra, inframmezzate da momenti di sinistro lirismo: una poesia sempre vigile, ma mai del tutto; e veicolata da una forma apparentemente libera in cui però è ravvisabile, a un livello più profondo, un’architettura che deframmenta e ricompone le suggestioni poetiche del testo pirandelliano.  Presto ascolteremo!

Il poema sinfonico ci riporta a Franz Listz e al pianoforte. Sei diplomato in pianoforte… Ricordo una tua frase in cui dici che tu e il pianoforte non siete amici.

Una delle mie tantissime boutades ! In realtà ho mosso i miei primi passi nella musica da bambino, pestando i tasti del severo e antico pianoforte verticale a casa dei nonni materni; e poi, da studente all’Istituto Bellini di Catania, ho avuto la fortuna di studiare con un grande maestro che è anche un eccezionale pianista: Luca Ballerini. Il rapporto con lui non si limitava solo agli esercizi e al repertorio strumentale: da autentico uomo di cultura e fine conoscitore di poesia e letteratura, per me è stata una grande fonte di ispirazione e stimoli culturali. Ancora adesso siamo in cordiale rapporto di amicizia, come con tutti gli altri miei maestri. La figura dell’insegnante è centrale, e meritevole del più grande rispetto. Per me il maestro è un padre. Circa il mio reale rapporto con il pianoforte, posso dire che non è il medium principale della mia ricerca musicale: sul pianoforte compongo raramente, ma quando capita per me è una gioia. Mi dà la sensazione della musica che sgorga dalle dita, non (solamente) dalla testa: mi svela la dimensione fisica del comporre che viaggia dal tasto allo scricchiolio della penna sul leggio, prima che al ticchettio dei tasti sul computer. Riguardo agli interpreti: mi piacerebbe incontrare più pianisti disposti a mettersi in discussione con la musica contemporanea, con i nuovi autori: in altre parole, a “rischiare” mettendo anche solo per un attimo da parte l’arcistraconsacrato repertorio di classici immortali, per dialogare con l’amico compositore della porta accanto; e chissà, magari diventare i primi esecutori di un pezzo nuovo che in futuro potrebbe diventare famoso. Se io stesso fossi un pianista, un interprete, sarebbe inconcepibile per me vivere di solo repertorio, e sarei animato anzi dalla curiosità vorace di conoscere ciò che si scrive per il mio strumento, mentre io vivo e suono.

Composizioni da camera.

Costituiscono la maggior parte del mio catalogo, e nascono principalmente dalla contingenza storica: per un compositore contemporaneo è in generale più difficile avere a disposizione compagini corali e orchestrali (e, alle loro spalle, direttori artistici) pronte a eseguire la sua musica. In questo senso, posso dire di essere recentemente diventato un privilegiato, avendo all’attivo diverse esecuzioni di musica sinfonica con l’Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari, l’Orchestra Filarmonica Italiana, la Novosibirsk Philharmonia, l’Orchestra Giovanile della Via Emilia, e infine l’Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania: di quest’ultima opportunità sono grato al direttore artistico Fabrizio Maria Carminati e al sovrintendente Giovanni Cultrera, che volentieri scommettono sulla nuova musica con la saggezza e la lungimiranza che li caratterizza. Per il resto, la musica da camera resta per me un territorio privilegiato d’indagine per combinazioni strumentali, timbri, effetti: anche perché so di poter contare su un certo numero di amici che mi stimano e si spendono con energia per la promozione della mia musica. Ho scritto praticamente per tutti gli strumenti, ma resto fondamentalmente orientato sulle le formazioni “classiche” (quartetto d’archi in primis).

Essere compositore ed essere siciliano. In che rapporto sono queste due condizioni nella tua esperienza?

Sono di ascendenze romane per parte di madre, e nisseno-campane di padre; siracusano di nascita, ho concluso i miei studi a Roma, ho vissuto e lavorato in Germania, ho frequentato a lungo la Francia: tutto ciò fa di me il classico siciliano cosmopolita, attaccato alla sua terra non diversamente che a qualunque altra. E ciò trova un riflesso preciso nella mia musica: solo in un paio di brani (su oltre 350 del mio attuale catalogo) sono presenti riferimenti espliciti alla tradizione popolare siciliana, mentre puoi ritrovare suggestioni dalla letteratura e dalle arti visive tedesche, russe, francesi, lituane, spagnole, giapponesi. In apparenza una strana insalata, che però trova rispondenze esatte nella mia poetica di straniamento, di perdita di contatto con il reale mediante l’ironia e uno stato di multi-personalità che trova nell’ucronia e nell’utopia il suo terreno d’elezione. Non solamente siamo, come dicono i Bahá’í, “fiori dello stesso giardino”: in questo giardino il tempo è stato messo in pensione, e il sogno cammina a braccetto con ciò che noi usiamo definire realtà. E tutto questo può immaginarlo solo chi ha la fortuna di vivere e operare in una terra sospesa tra sogno e realtà, quale è appunto la Sicilia.

Progetti per il futuro.

Nell’immediato una collaborazione con il Teatro Coccia di Novara, molto attivo nella valorizzazione di nuovi autori, per un “corto” lirico (su uno splendido libretto di Stefano Valanzuolo) e una cantata in collaborazione con altri due compositori; una nuova opera su Lapo Saltarelli (l’amico di Dante) in programma a settembre a Piacenza; un melologo dantesco a Caltagirone; il lavoro di ricerca attorno alla nuova notazione Chronota (di cui è autore Lukas Brandt, primo oboe dell’Orchestra Sinfonica di Osnabrück); un ampio lavoro sinfonico (forse una vera e propria sinfonia); alcuni cicli vocali da camera (su testi di Lina Maria Ugolini, Claudio Saltarelli e Antonino Chianello); e altro ancora. Non trascorre un solo giorno senza che io componga. Per me è naturale come respirare.

Foto di Andrea Annaloro tratta da Facebook

sabato 3 aprile 2021

Carmelo Maugeri e lo spartito della Francesca da Rimini di Zandonai

Carmelo Maugeri (1889-1986) è stato un baritono catanese apprezzato sia in Italia che all’estero. Partecipò anche ad alcune prime assolute di nuove opere degli anni Trenta del secolo scorso. Era grandissimo amico del musicista trentino Riccardo Zandonai che lo volle nelle prime assolute di Giulietta e Romeo e ne La farsa amorosa. Spartiti e libri di Carmelo Maugeri si trovano nella biblioteca dell’Istituto Bellini di Catania e fra questi un’edizione del 1914 dello spartito per canto e pianoforte della Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai (1883-1944). È un dono personale del compositore all’amico cantante con dedica.

Com’è facile intuire, la Francesca da Rimini è una versione operistica della storia di Paolo e Francesca resa celebre da Dante nella sua Divina Commedia. È meno noto, invece, che l’opera è soprattutto una rielaborazione dell’omonimo dramma di Gabriele d’Annunzio. Il libretto fu scritto da Tito Ricordi. D’Annunzio non vi mise mano, anche se fu autore di libretti d’opera per altri compositori dell’epoca. Il compositore e il librettista rielaborarono e semplificarono il dramma dannunziano. La bellissima e ricchissima musica di Zandonai ha dato all’opera un’individualità tutta propria sia alle versioni di Dante e di D’Annunzio.
Il personaggio di Francesca è tratteggiato con estrema delicatezza. L’amata è descritta come una donna veramente innamorata di Paolo che cerca in tutti i modi di nasconderlo a tutti. È una donna anche profondamente impaurita e consapevole della morale matrimoniale dell’epoca e delle conseguenze dell’adulterio.
La musica di Zandonai è meravigliosa quando Paolo va nel castello per presentare la richiesta del fratello Gianciotto della mano di Francesca. È insuperabile nel primo duetto in cui Paola e Francesca non osano dichiararsi amore e ammettono solo la loro tristezza e infelicità senza mai indicarne la vera causa. Ad un certo punto, cominciano a leggere la storia di Lancillotto e Ginevra. Paolo invita Francesca a recitare le parole di Ginevra. “E la reina vede che il cavaliere non ardisce di fare di più! Lo serra tra le braccia e lungamente lo bacia in bocca!…”. Mai la musica per sottolineare un bacio è stata così bella e appassionata!
Nell’opera di Zandonai, questo duetto si trova al centro dell’opera. Diversamente dall’Inferno di Dante, i due amanti rimangono comodamente sul letto nel loro amplesso. Nel successivo atto dell’opera, Gianciotto scopre il tradimento di Francesca e decide di vendicarsi.
Il duetto finale tra Paolo e Francesca è altrettanto struggente e bellissimo: “Vieni Francesca! Ore di gaudii lunghe, ci son davanti… Ti trarrò dov’è l’oblio!”… I due amanti vengono scoperti da Gianciotto e uccisi senza pietà.
L’opera di Zandonai è, purtroppo, poco rappresentata. È una perla gelosamente apprezzata dai veri melomani.

Il Big Bang non c’è mai stato… Teorie alternative nella scienza del XX e XXI secolo

Il Big Bang non c’è mai stato… Così afferma il prof. Eric Lerner, che ha pubblicato nei primi anni Novanta un fortunato saggio con questo ti...